Populisti contro Populicidi

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di Michel Onfray

Articolo apparso sul settimanale francese Marianne, numero 1122 – 14/20 settembre 2018 (https://www.marianne.net/magazine/ni-macron-ni-orban)

I partiti detti populisti avanzano ovunque in Europa. Coloro che affermano di combatterli sono i pompieri o i piromani?

Disponiamo ormai di sufficiente distacco per chiamare le cose con il loro vero nome: Maastricht è il nome di un impero. Cos’è un impero? Littré lo precisa: “Si dice di uno Stato considerevole, qualunque sia la forma di governo“. Questo “Stato considerevole” ha in effetti la sua bandiera, affianca ovunque quella delle nazioni che lo costituiscono e che, in questo modo, passano in secondo piano – manifesta chiaramente le sue radici cristiane con il blu mariano e le stelle che danzano al di sopra della testa della Vergine Maria dei cattolici – ; ha il suo motto in latino ecclesiastico “In varietate concordia“, detto altrimenti: “Uniti nella diversità” – ; ha la sua Costituzione – il trattato di Roma -; la sua moneta- l’euro – ; ha il suo Parlamento – a Strasburgo – ; ha il suo inno – l’Ode a la joie, di Beethoven sui versi di Shiller, due tedeschi – ; ha la sua festa nazionale – il 9 maggio, qui è la data di anniversario della dichiarazione fondatrice della costituzione europea ratificata da Robert Schumann nel 1950 – ; ha i suoi padri fondatori – Robert Schumann dunque, ma anche Jean Monnet – ; ha i suoi apostoli – Giscard, Mitterrand, Simone Veil, Jacques Delors – ; ha anche le sue sartine: i suoi spiccioli presidenziali dopo Mitterrand – Chirac e Sarkozy, Holland e Macron, ma anche una quantità considerevole di ministri tra cui Jean-Luc Mélenchon per lungo tempo e un numero di vecchi combattenti del maggio ’68, tra cui l’inenarrabile Daniel Cohn-Bendit – ; ha infine i suoi intellettuali organici – Bernard-Henri Lévy e Luc Ferry, Alain Minc e Jacques Attali tra i più in vista. Ai quali si deve aggiungere la quasi totalità del mondo giornalistico che imperversa sui grandi media, servizio pubblico compreso, certamente!

Quale guerra?

È in nome di questo Stato considerevole che è ormai vietato amare qualsiasi Stato costruttivo di quest’impero, col pretesto di passare per nazionalisti, quindi xenofobi, quindi razzisti, quindi fascisti. Perché, lo si sa bene, “il nazionalismo, è la guerra“, come ha detto tempo addietro Francois Mitterrand, allora presidente della defunta repubblica francese, in un discorso che si voleva testamentario il 17 gennaio 1995 a Strasburgo, davanti al Parlamento europeo riunito in seduta plenaria.

Questo presidente che fu socialista fino al 1983 ha davvero ragione ad affermare una cosa simile, ma probabilmente non come la intendeva. Perché questo nazionalismo maastrichtiano che sta covando una guerra che esiste già nella sua forma sociale – e non so quale altro nazionalismo… Perché quest’impero maastrichtiano ha anche una politica: è una tirannia liberale che, senza temere l’ossimoro, impone le leggi del mercato in modo autoritario, statalista e burocratico. Questo liberalismo dispone di finanze, un vero tesoro di guerra con l’imposta del contribuente europeo che gli permette di assicurare la sua dominazione politica e ideologica. L’Impero maastrichtiano dispone di formidabili ripetitori nel mondo mediatico dove alcune fortune tengono tra le loro mani un numero considerevole di media – quotidiani, settimanali, radio, televisioni, siti… Si indottrina massivamente, potentemente, e da lungo tempo.

Questo impero dispone di una ideologia: è quella che ha consegnato la Fondazione Terra Nova in una nota apparsa nel 2011 che è una specie di catechismo eurofilo per le nullità. Questo testo prendeva atto della disaffezione elettorale di una grande parte delle vittime di questo Stato maastrichtiano e che, per questo, aveva lasciato il voto di sinistra a favore del Front National. Terra Nova avallava la cosa e invitava la sinistra maastrichtiana (un giscardismo contemporaneo sostenuto da Liberation, le Monde, France Inter, l’Obs e altri media neoliberali sovvenzionati con denaro dei contribuenti…) ad adescare dal lato di un nuovo elettorato. Esce quello che avevo allora denominato il popolo old school, e benvenuto, il nuovo popolo costituito dalle minoranza sessuali, le minoranze razziali, le minoranze etniche promosse maggioranze ideologiche. Tocqueville annunciava la tirannia della maggioranza, si è sbagliato: lo Stato maastrichtiano assicura ideologicamente la tirannia la tirannia delle minoranze – tra cui quella della sua ideologia pure minoritaria.

Questo popolo old school, sacrificato sull’altare del profitto liberale e della religione delle minoranze, ha compreso che questa Europa che gli si presentava al momento del trattato europeo di Maastricht (1992) come una garanzia di pieno impiego, di pace tra le nazioni, di sparizione della disoccupazione, di forte crescita, di amicizia tra i popoli, non ha mai prodotto che ciò che genera il capitalismo liberale, in altre parole la pauperizzazione – dei poveri sempre più numerosi e sempre più poveri e dei ricchi sempre più ricchi e sempre meno numerosi. E la pauperizzazione è il motore della lotta di classe.

I più esposti a questa brutalità dei mercati che hanno visto degradarsi o scomparire i servizi pubblici, la scuola e l’esercito, la polizia e l’educazione, la posta e la sanità che un tempo li preservavano un poco dalla sofferenza sociale, dall’insicurezza sociale, da ciò che Bourdieu chiamava così giustamente “la miseria del mondo”, hanno cominciato a esprimere i loro dubbi durante le elezioni. I loro dubbi e le loro paure.

Quando hanno domandato, per la pacifica via elettorale, un cambio delle regole del gioco, l’Europa, sì, ma non nella sua sola formula liberale, hanno dovuto fronteggiare i cani dell’impero che li hanno infamati, umiliati, insultati, biasimati, poi negletti: senza diploma, incolti, provinciali, campagnoli, ritardati; poi razzisti, xenofobi, islamofobi, fascisti, nazisti – “nazionali e sociali” si è potuto leggere sotto la penna di Philippe Val, in Charlie Hebdo, dopo il “no” massivo del 2005 (54,68% di nazisti francesi…).

Voto negato

Cos’hanno fatto gli eserciti di questo impero maastrichtiano di questo “no” che diceva chiaramente le cose? Un pezzo di carta straccia. Il popolo ha votato male, il Congresso ha rivotato per lui. In modo che il trattato rifiutato dal popolo nel 2005, lo è stato dai suoi pretesi rappresentanti al Congresso riunito a Versailles nel 2008.

Come chiamare questo voto negato di un popolo sovrano da parte di coloro che sono supposti rappresentarlo? Un populicidio. Una parola inventata da Gracchio Babeuf ai suoi tempi che potrebbe qui riprendere servizio. Littré ce ne dona il senso: “Neologismo del linguaggio rivoluzionario. Che causa la morte, la rovina di un popolo“.

L’Impero maastrichtiano non vive che di populicidi. Che dopo tre anni la Gran Bretagna non sia potuta uscire da questa Europa dopo che un voto del popolo sovrano l’ha esplicitamente domandato, testimonia della natura illiberale di questo regime imperiale. I popoli l’hanno alla fine ben compreso. Il prossimo scrutinio europeo lo mostrerà, e ivi compresi le schede bianche, i voti nulli e l’astensione, che sarà, facile da prevedere, il grande vincitore. Perché, messi sull’avviso dalla giurisprudenza del trattato di Lisbona e dalla Brexit, i popoli potranno certo non andare a votare, sapendo che lo Stato maastrichtiano ha preparato un grande bidone per metterci il loro voto nel caso in cui non sia in favore della sua potenza. In qualsiasi democrazia degna di questo nome, questo modo di fare si chiama dittatura.

 

 

 

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